Il licenziamento determinato dal rifiuto della lavoratrice di sottostare alle molestie sessuali del proprio datore di lavoro è nullo perché discriminatorio. In materia trova applicazione il particolare regime probatorio presuntivo previsto dall’art. 40 D.Lgs. n. 198/2016, in virtù del quale: <<quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione>>. È quanto stabilito dalla Cassazione con la sentenza in commento.
La Corte ha statuito che <<la doverosità di una esegesi conforme alla normativa euro-unitaria, come interpretata dalla Corte di Giustizia, impone di ritenere estesa l’equiparazione delle molestie sessuali alle discriminazioni di genere anche in ordine alla ripartizione dell’onere probatorio>>.
Secondo la Cassazione, nella fattispecie, correttamente i giudici di merito hanno ravvisato la prova presuntiva delle molestie sessuali nelle deposizioni offerte dalle lavoratrici – che hanno riferito di molestie a loro danno all’indomani delle relative assunzioni – e nell’esasperato turn over tra le giovani dipendenti – che dopo brevi periodi di lavoro si dimettevano senza apparente ragione.
Avv. Emanuele Doria