La Legge 8 marzo 2017 n. 24 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale e sarà in vigore dal 1 aprile p.v.
Cliccando sul seguente link il potrete accedere al testo integrale Legge 8 marzo 2017 n. 24
Questo articolo si propone di illustrare sinteticamente i profili civilistici della materia.
PROFILI SOSTANZIALI
A) la responsabilità della struttura sanitaria è sempre contrattuale.
B) la responsabilità del medico libero professionista -ovviamente- è sempre contrattuale.
C) La responsabilità dell’esercente la professione medico sanitaria dipendente da strutture, pubbliche o private, di regola sarebbe extracontrattuale, tuttavia, ove si provi l’esistenza di un’obbligazione assunta con il paziente tornerebbe ad avere natura contrattuale. Pertanto, ai fini dell’applicazione pratica non sembra cambiare molto rispetto al regime previgente. Infatti, secondo granitica giurisprudenza di legittimità e di merito, il rapporto tra paziente e medico dipendente di una struttura sanitaria ha natura contrattuale (c.d.contatto sociale).
Il Giudice deve determinare l’ammontare del risarcimento valutando la condotta del medico, in particolare, verificando se lo stesso si sia discostato: 1) dalle raccomandazioni contenute nelle linee guida dettate per l’esercizio dell’attività medico-sanitaria; 2) oppure, in mancanza delle suddette, dalle buone pratiche clinico assistenziali (vi è un’esplicito richiamo “all’articolo 5 della presente legge e all’articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall’articolo 6 della presente legge“).
Il danno medico dovrebbe essere liquidato in base alle Tabelle del Danno Biologico che il legislatore avrebbe dovuto emanare, con D.P.R., in virtù degli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private (CAP: D.Lgs. n. 2009/2005). Ad oggi, come noto, non essendo ancora state emesse dette Tabelle, si continuerà a fare riferimento alle “Tabelle del Tribunale di Milano” secondo quanto più volte ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione.
L’art. 7 dispone quanto segue.
- La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o
privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si
avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. - La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.
- L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del
codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. - Il giudice, nella determinazione del risarcimento del
danno, tiene conto della condotta dell’esercente
la professione sanitaria ai sensi dell’articolo 5 della presente legge e dell’articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall’articolo 6 della presente legge. - Il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle
tabelle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la
procedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti
alle attività di cui al presente articolo. - Le disposizioni del presente articolo
costituiscono norme imperative ai sensi
del codice civile.
PROFILI PROCESSUALI
Sono previste quali condizioni di procedibilità della domanda di risarcimento: 1) l’espletamento della procedura di Accertamento Tecnico Preventivo ex art. 696-bis c.p.c; 2) in alternativa il procedimento di mediazione ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.
Assolta la condizione di procedibilità, la domanda giudiziale va introdotta ex art. 702 bis c.p.c. (procedimento sommario di cognizione).
Fin qui tutto chiaro. L’interpretazione della lettera della norma si complica allorché è previsto che “ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato … il ricorso di cui all’articolo 702-bis del codice di procedura civile”.
Domanda: nel caso in cui il danneggiato abbia optato per la mediazione, entro quanto tempo deve essere introdotta la domanda giudiziale? Questo perché l’art. 8, ai fini del computo del termine di 90 giorni per l’introduzione del giudizio, considera solo il caso in cui si sia optato per l’accertamento tecnico preventivo, parlando di “novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio di sei mesi per la conclusione dell’ATP“.
Altra considerazione da farsi: cosa succede se l’ATP, come è certo che sia, non si concluderà entro il termine perentorio di sei mesi? Ebbene, in questo caso, il danneggiato, nonostante la pendenza del giudizio ex art. 696 bis, dovrà comunque stare attento a depositare il ricorso ex art. 702 bis entro 90 giorni dallo spirare del termine di sei mesi dall’introduzione dello stesso giudizio per ATP.
A cura dell’Avv. Emanuele Doria