- Qual è la differenza tra separazione e divorzio?
- Qual è la differenza tra separazione consensuale e separazione giudiziale?
- La negoziazione assistita
- Quando può aversi la separazione con addebito?
- Con quali modalità vengono affidati i figli?
- A quale dei due coniugi viene assegnata l’abitazione coniugale?
- Quali sono le condizioni per poter ottenere il divorzio?
- Si può avere un divorzio consensuale?
- Quando deve essere corrisposto l’assegno divorzile?
- Quando si può richiedere una quota del TFR?
1) Qual è la differenza tra separazione e divorzio?
Con la separazione legale i coniugi non pongono fine al rapporto matrimoniale, ma ne sospendono gli effetti nell’attesa di una riconciliazione o di un provvedimento di divorzio. La separazione può essere legale (consensuale o giudiziale) o “di fatto“, cioè conseguente all’allontanamento di uno dei coniugi per volontà unilaterale, o per accordo, ma senza l’intervento di un Giudice e senza alcun valore sul piano legale. La separazione legale (consensuale o giudiziale) rappresenta una delle condizioni (la più frequente) per poter addivenire al divorzio. Con il divorzio (introdotto e disciplinato con la Legge 01 dicembre 1970 n. 898) viene invece pronunciato lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili (se è stato celebrato matrimonio concordatario con rito religioso, cattolico o di altra religione riconosciuta dalla Stato italiano).
Col divorzio vengono a cessare definitivamente gli effetti del matrimonio, sia sul piano personale (uso del cognome del marito, presunzione di concepimento, etc.), sia sul piano patrimoniale. La cessazione del matrimonio produce effetti dal momento della sentenza di divorzio, senza che essa determini il venir meno dei rapporti stabiliti in costanza del vincolo matrimoniale. Solo a seguito di divorzio il coniuge può pervenire a nuove nozze.
2) Qual è la differenza tra separazione consensuale e separazione giudiziale?
Nella separazione consensuale sussiste un accordo tra i coniugi in ordine alle condizioni (personali e patrimoniali) della separazione stessa. Il Tribunale si limita ad omologare tale accordo (cioè ad assicurarsi che siano rispettati i diritti di ciascun coniuge e della eventuale prole) mediante decreto. In caso di disaccordo, invece, si ricorre alla separazione giudiziale. In questo caso la separazione viene pronunciata con sentenza dal Tribunale, che si impone nel decidere le condizioni. Il diritto di chiedere la separazione (consensuale o giudiziale) spetta a ciascun coniuge, anche in mancanza di consenso dell’altro coniuge. La procedura si avvia mediante ricorso al Tribunale competente per territorio, in base al comune dove si trova la casa coniugale.
3) La negoziazione assistita
Oggi gli effetti di una separazione o di un divorzio consensuale possono essere ottenuti anche attraverso la procedura di negoziazione assistita ex Art. 6 D.L. 132/2014, senza andare in Tribunale. L’art. 6 del II cap è dedicato proprio alla ipotesi di negoziazione assistita in materia di separazione e divorzio. La disciplina prevede che tramite la convenzione di negoziazione assistita (da almeno un avvocato per parte) i coniugi possano raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio (nei casi di cui all’art. 3, 1° comma, n. 2, lett. b) della l. n. 898/1970), nonché di modifica delle condizioni di separazione o divorzio precedentemente stabilite. La procedura è applicabile sia in assenza che in presenza di figli minori o di figli maggiorenni, incapaci, portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti. Nel primo caso, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è sottoposto al vaglio del procuratore della Repubblica presso il Tribunale competente, il quale, se non ravvisa irregolarità comunica il nullaosta agli avvocati. Nel secondo caso – figli minori o di figli maggiorenni, incapaci, portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti – invece, il pm, cui va trasmesso l’accordo concluso entro 10 giorni, lo autorizza solo se lo stesso è rispondente all’interesse dei figli. Qualora, al contrario, il procuratore ritenga che l’accordo non corrisponda agli interessi della prole, lo trasmette, entro cinque giorni, al presidente del Tribunale, il quale, nel termine massimo di trenta giorni, dispone la comparizione delle parti, provvedendo senza ritardo. Una volta autorizzato, l’accordo, nel quale gli avvocati devono dare atto di aver esperito il tentativo di conciliazione tra le parti informandole della possibilità di ricorrere alla mediazione familiare, è equiparato ai provvedimenti giudiziali che definiscono gli analoghi procedimenti in materia. Dopo la sottoscrizione della convenzione di negoziazione, il legale della parte ha l’obbligo di trasmetterne copia autenticata munita delle relative certificazioni, entro 10 giorni, a pena di sanzione amministrativa pecuniaria da 2.000 a 10.000 euro, all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto per tutti gli adempimenti successivi necessari (trascrizione nei registri di stato civile; annotazioni sull’atto di matrimonio e di nascita; comunicazione all’ufficio anagrafe).
4) Quando può aversi la separazione con addebito?
Tornando ai casi di separazione non consensuale., nel pronunciare la separazione, ove ricorrano specifiche circostanze e se richiesto da una delle parti, il Giudice può dichiarare a quale dei due coniugi sia addebitabile la separazione. L’addebito assume rilevanza pratica e sostanziale per ciò che riguarda il diritto successorio (art. 548 e 585 c.c.) e la determinazione dell’assegno di mantenimento (art. 156 c.c.). Costituiscono fatti che possono determinare l’addebito della separazione quelli che ledono il dovere di lealtà e collaborazione, quali i maltrattamenti, l’omessa assistenza morale e materiale, l’abbandono ingiustificato della casa coniugale, anche le vessazioni della suocera se non interrotte dall’altro coniuge. Secondo la giurisprudenza, l’adulterio è causa di addebito quando sia grave e notorio al punto da determinare discredito sociale in pregiudizio dell’altro coniuge.
5) Con quali modalità vengono affidati i figli?
L’accordo consensuale omologato, o la sentenza giudiziale, stabiliscono a quale dei coniugi sono affidati i figli, unitamente alle condizioni e all’importo relativo al loro mantenimento a carico del coniuge non affidatario. Per stabilire il coniuge affidatario è irrilevante l’eventuale dichiarazione di addebito, salvo che questa non sia scaturita per cause che riguardino il rapporto con i figli.
In sede di separazione deve essere preferito l’affidamento congiunto, salvo che questo non contrasti con l’interesse dei figli. Il Tribunale stabilisce la misura ed il modo con cui il genitore che non coabita prevalentemente con la prole deve contribuire al mantenimento, all’istruzione e all’educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi. Con l’affidamento condiviso, ciascun genitore ha l’esercizio della potestà sui figli e deve attenersi alle condizioni determinate dal Tribunale. In questo caso le decisioni che riguardano i figli, salvo quelle quotidiane, sono adottate da entrambi i genitori. L’obbligo di mantenere, educare ed istruire i figli, nati o adottati durante il matrimonio, permane anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori.
6) A quale dei due coniugi viene assegnata l’abitazione coniugale?
Gli Art. 337-sexies c.c. e l’art. 6 Legge 898/70, stabiliscono il principio che l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove possibile, al genitore presso cui i figli vivono prevalentemente, tenendo conto dell’interesse della prole. La tutela si estende anche ai figli maggiorenni sino alla loro indipendenza economica. Dell’assegnazione si deve tener conto nella determinazione delle condizioni economiche e, in quanto trascritto, il provvedimento è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 cc. Non è possibile stabilire l’assegnazione a favore del coniuge non collocatario o in mancanza di figli. In questo caso la disponibilità dell’abitazione coniugale sarà disciplinata sulla base delle normali regole sulla proprietà o sulla locazione.
7) Quali sono le condizioni per poter ottenere il divorzio?
Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi (art. 3 L. 898/70):
- quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l’altro coniuge è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza:
- all’ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale;
- a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui all’art. 564 del codice penale e per uno dei delitti di cui agli articoli 519, 521, 523 e 524 del codice penale, ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione;
- a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio; d)a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per i delitti di cui all’art. 582, quando ricorra la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’art. 583, e agli articoli 570, 572 e 643 del codice penale, in danno del coniuge o di un figlio.
- nei casi in cui:
- l’altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b) e c) del numero 1) del presente articolo, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta l’inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare;
- è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensualeovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18.12.1970. In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. L’eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta;
- il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalle lettere b)e c) del numero 1) si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi;
- il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo;
- l’altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all’estero nuovo matrimonio;
- il matrimonio non è stato consumato;
- è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della L. 14.4.1982, n. 164.
8) Si può avere un divorzio consensuale?
È improprio parlare di divorzio “consensuale”, posto che lo scioglimento del vincolo matrimoniale viene sempre stabilito con sentenza, ed è irrilevante l’eventuale accordo dei coniugi. Tuttavia, il ricorso per lo scioglimento del vincolo matrimoniale può anche essere presentato congiuntamente dai coniugi e se le condizioni proposte dai coniugi sono ritenute conformi ai diritti degli stessi e della prole, il Tribunale si limita a recepirle nella sentenza di divorzio.
9) Quando deve essere corrisposto l’assegno divorzile?
Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive (Art. 5 Legge 898/70). La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento automatico dell’assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Su accordo delle parti, la corresponsione può avvenire in unica soluzione (si parla in questo caso di assegno divorzile una tantum). Il Tribunale si limita a valutare la congruità dell’importo. In tal caso il coniuge beneficiario non potrà proporre alcuna successiva domanda di contenuto. Per stabilire l’importo o la congruità, i coniugi devono presentare la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni, il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria. L’obbligo di corresponsione dell’assegno termina se il coniuge al quale deve essere corrisposto passa a nuove nozze. Il coniuge al quale non spetta l’assistenza sanitaria per nessun altro titolo conserva il diritto nei confronti dell’ente mutualistico da cui sia assistito l’altro coniuge. Il diritto si estingue se egli passa a nuove nozze.
10) Quando si può richiedere una quota della liquidazione (TFR) dell’ex coniuge?
L’Art. 12-bis della L. 898/70 stabilisce che il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno di mantenimento divorzile, ha diritto ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza di divorzio. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio. Non può richiedersi la quota di TFR se la corresponsione dell’assegno di mantenimento in sede di divorzio è stata concordata in unica soluzione.