Quando si introduce una domanda giudiziale, oppure quando ci si difende in un giudizio introdotto da altri, bisogna assicurarsi che ve ne siano i presupposti. L’ordinamento non tollera che si possa abusare del processo, tentando richieste o difese assolutamente prive di fondamento. Infatti, in caso di soccombenza (se si perde la causa) si corre un duplice rischio.
- Quello di essere condannati alle spese giudiziali (spese di introduzione del giudizio e competenze legali dell’avvocato di controparte).
- Quello di essere condannati al risarcimento del danno subito dalla controparte per “lite temeraria e responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c.
Detta norma dispone al primo comma che <<Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (vale a dire con proposito doloso o peccando di ignoranza che esula dall’ordinaria diligenza) il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza [disp. att. 152]>>.
Il terzo comma dispone invece che <<In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata>>
Con riferimento a tale ultima disposizione è ormai principio consolidato quello secondo cui «in tema di responsabilità aggravata, l’art. 96, comma 3, c.p.c. (come modificato dall’art. 45, comma 12, della l. n. 69 del 2009) prevede una vera e propria pena pecuniaria, indipendente sia dalla domanda di parte, sia dalla prova del danno causalmente derivato dalla condotta processuale dell’avversario» (Così Cassazione, Sez. I Civ., 8 febbraio 2017, n. 3311; Tribunale di Cassino, Sez. Lav., 15 giugno 2020, n. 214).
Di recente la Suprema Corte ha inoltre precisato che «la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma e indipendente dalla responsabilità aggravata e con questa cumulabile. Essa richiede una condotta oggettivamente valutabile in termini di abuso del processo. Tale si configura l’aver agito o resistito pretestuosamente, ovvero nell’evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione … Nel vigente ordinamento è assegnato alla responsabilità civile non solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, ma anche la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria di cui ne è espressione l’art. 96, comma 3, c.p.c. La determinazione equitativa della somma di cui alla condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. va effettuata in termini di proporzionalità» (Cassazione, Sez. III Civ., 25 giugno 2019, n. 16898).