Risarcimento degli eredi per danno da perdita del rapporto parentale
Sofferenza dei parenti delle vittime: irrilevante la condizione della convivenza
Con sentenza n. 27658 del 29 settembre 2023, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi di risarcimento degli eredi in caso di danno parentale.
Ha ribadito che il danno non patrimoniale da lesione o perdita del rapporto parentale non può ritenersi rigorosamente circoscritto ai familiari conviventi, poiché il rapporto di convivenza, pur costituendo elemento probatorio utile a dimostrarne l’ampiezza e la profondità, non assurge a connotato minimo di esistenza di rapporti costanti di reciproco affetto e solidarietà, escludendoli automaticamente in caso di sua mancanza.
Viene, altresì, precisato che nessun rilievo può essere attribuito, al fine di negare il riconoscimento di tale danno, all’unilateralità del rapporto di fratellanza ed all’assenza di vincolo di sangue, non incidendo essi negativamente sull’intimità della relazione, sul reciproco legame affettivo e sulla pratica della solidarietà (Cass n. 24689/2020).
Prosegue la Corte spiegando che l’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti. Queste circostanze assumono rilevanza ai fini del quantum debeatur.
Operatività del principio dell’onere della prova in materia di danno parentale
Viene poi ricordato dal Collegio giudicante, nel solco dell’insegnamento di legittimità, che grava sul convenuto l’onere di provare:
- che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio;
- che, di conseguenza, la morte della stessa vittima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al superstite (Cass. n. 223972022). Su questa via ritiene la Terza Sezione Civile che il pregiudizio patito dai prossimi congiunti della vittima va allegato, ma può essere provato anche a mezzo di presunzioni semplici e massime di comune esperienza, dato che l’esistenza stessa del rapporto di parentela fa presumere la sofferenza del familiare superstite, ferma restando la possibilità, per la controparte, di dedurre e dimostrare l’assenza di un legame affettivo (Cass n. 25541/2022).
In considerazione di quanto esposto, conclude la Corte di Cassazione che anche in assenza di un rapporto di prossimità familiare d’indole «nucleare», il difetto della convivenza con la vittima diretta non costituisce elemento preclusivo della prova del danno, incombendo viceversa sul giudice di merito il compito di verificare, caso per caso, il complesso degli indici probatori eventualmente utilizzabili in relazione al singolo rapporto parentale dedotto (astenendosi dal riferimento a formule astratte o stereotipate).
Ciò tenendo conto del principio in forza del quale “quanto più prossimo appare il grado formale della parentela, tanto meno rigoroso dovrà intendersi lo standard probatorio da soddisfare ai fini risarcitori“.
A cura dell’Avv. Emanuele Doria: Risarcimento incidenti stradali e infortuni sul lavoro gravi e mortali, Studio Legale di Arce, provincia di Frosinone https://emanueledoria.it/