Nascita indesiderata diritto al risarcimento, la sentenza della Cassazione, Sez. III Civile, 19 luglio 2018, n. 19151
IL CASO
Il tribunale di Camerino giudicava il medico curante della attrice ( I.M.) e la struttura sanitaria (ASUR Marche), in cui esercitava la professione di ginecologo, solidalmente responsabili per il danno morale, biologico e patrimoniale causato dalla nascita, non desiderata, di una bimba affetta da sindrome di Down, dopo che il medico si era rifiutato di svolgere esami e test prenatali sulla gestante a causa del cerchiaggio che le era stato praticato, a causa del quale il medico aveva sconsigliato ogni pratica invasiva sul feto.
La Corte d’appello di Ancona, confermava la sentenza sull’an debeatur, impugnata dai convenuti appellanti, sull’assunto che le insistenti richieste della madre, rivolte al medico curante, di effettuare test clinici sul nascituro, rimaste del tutto inascoltate, fossero sufficientemente sintomatiche dell’intento di abortire nel caso in cui fosse stata riscontrata una grave anomalia nel feto.
LA PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE
La Suprema Corte rileva che la volontà abortiva è desumibile:
- dalle insistenti richieste della gestante, all’epoca trentaseienne, di effettuare una diagnosi prenatale, rifiutate dal medico curante;
- dalle statistiche sul ricorso a interruzione in caso di feti malformati che mostrano un’alta percentuale di richieste di interruzione della gravidanza in caso di preventiva conoscenza di malformazioni di tal tipo. Sul punto la Corte ribadisce il principio sancito a Sezioni Unite in base al quale, in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite praesumptio hominis, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale (Vd. S.U. Cass. 25767/2015); Sez. 3, Sentenza n. 24220 del 27/11/2015).3. Il primo motivo di ricorso principale attiene alla violazione degli Artt. 1218 e 2043 c.c. La ricorrente deduce aspetti risarcitori del danno esistenziale che, in tesi, avrebbero dovuto essere presi in considerazione in via autonoma e oltre al danno biologico di tipo psichico considerato.
- Nella stessa sentenza la Cassazione ha ribadito che il danno non patrimoniale resta unico, sia pure da valutarsi e liquidarsi nelle proprie componenti: a) l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale); b) il suo impatto modificativo in pejus sulla vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale) – (Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 901 del 17/01/2018). Tali elementi per così dire “interni”, descrittivi dei vari aspetti del danno patrimoniale non possono portare ad una duplicazione dello stesso. Specifica tuttavia la Cassazione che <<non costituisce duplicazione la congiunta attribuzione del “danno biologico” e di una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perchè non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado di percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sè, la paura, la disperazione). Ne deriva che, ove sia dedotta e provata l’esistenza di uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (Cfr. Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 7513 del 27/03/2018)>>.
A cura dell’Avv. Emanuele Doria, ogni diritto riservato